Ansia all you can eat

Così, all’improvviso.

Mi sveglio all’una di notte, alle due o alle tre, come un fulmine in fase rem, il tonfo di una grancassa, un gong che spalanca gli occhi; fa partire la testa che incomincia a stilare liste, elenchi di possibili problemi, drammi, difficoltà insormontabili.

Siamo nel bel mezzo della nottata, come si può avere la lucidità per valutare cosa può essere un problema e cosa no?

Mi dico che non ha molto senso, che siamo nel campo delle ipotesi, ma la mia mente viaggia con il pilota automatico e incomincio a immaginare cosa potrebbe andare storto a partire da domani mattina:

  • problema 1

  • problema 2

  • problema 3

  • problema 4

Alla mezz’ora.

Il cervello entra in modalità problem-solving con l’unico obiettivo di riaddormentare il corpo per potersi rialzare l’indomani e risolvere i problemi che sfilano inesorabili uno dietro l’altro, sempre gli stessi in una modalità consegna bagagli.

Attuo una contromossa suggeritami più volte da mia madre in tenera età:

Io: Mamma non sto bene.
Mamma: Pensa a qualcosa di bello.

  • problema 1

  • Una gita in montagna, una mattina primaverile

  • problema 2

  • La Val Ferret, le creste erbose, i sentieri

  • problema 3

  • La mia famiglia, Marta…

  • problema 4

Passa un’ora.

I pensieri felici dovrebbero farmi volare via come dice Peter Pan e invece mi tengono sveglio.

Nella mia testa c’è un rullo che scorre, ci sono un sacco di piattini coperti da piccole cupole di plastica e io sto cercando disperatamente di liberarmene.

Ma ho la mente di un adulto: trasformo il problema in task e devo risolverlo per andare avanti.

Ma non funziona. Il binario è circolare, i pensieri tornano, quelli buoni spariscono in un paio di giri, come è giusto che sia in un servizio all you can eat, i cattivi si ripresentano e sono sempre gli stessi.

 

È straziante continuare ad impegnarsi nel modo sbagliato, aggiungere invece di togliere, pretendendo di trasformare tutto in un brusio di fondo e tornare a dormire.

 

Ma questo l’ho capito dopo.

Poi mi spengo.

Il viaggio termina nell’ignoto.
Al contrario di quando si guida sovrapensiero e non si capisce come si è arrivati, qui lo svolgimento è chiaro. Passa sempre più di un’ora, attaccato alla luce della sveglia e la paura di non addormentarmi mai.

E poi? Poi non lo so, mi spengo ed è mattina.

Quindi?

L’ansia è un invito a cena non richiesto, un banchetto infinito di preoccupazioni di varia natura di cui non sento francamente il bisogno visto l’orario: sto bene cosi, grazie.

Passo le mie giornate a pretendere molto dalla mia mente analitica, la impiego negli imprevisti, nel ricalcolare le tempistiche, nella ricerca di idee, nello scegliere quando è il momento giusto per un caffè.


 

Ho capito che contro un attacco d’ansia, occorre limitarsi ad avere una mente esplorativa, che non sa, che mi mette in condizione di ascoltare e non per forza di risolvere.

Senza aggiungere ne sottrarre, provare a starne fuori ed osservare il respiro.

Dicono funzioni così

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