Te lo dico io, hai la sindrome dell’impostore

In principio la diagnosi

“Te lo dico io, fidati, ch’hai la sindrome dell’impostore…quella che pensi che stai fregando un cliente o qualcuno, ce l’hanno tutti.”

— Stefano, freelance e confidente, 2021

Con queste parole Stefano commenta un mio piccolo episodio di ansia mattutina.
È successo ormai qualche settimana fa, non ricordo la motivazione, ma rientra in effetti nella casistica comune dei miei momenti di fragilità lavorativa.

Non per dubitare delle conoscenze del mio compagno di coworking, cerco una definizione più precisa su Google:

“La sindrome dell’impostore è dunque il fenomeno per cui una persona si sente incompetente e pensa di aver ingannato gli altri circa le proprie capacità, vivendo uno stato psicologico intriso di senso di colpa, mancata introiezione del successo, paura del giudizio e sentimenti di indegnità e inefficienza professionale e formativa.”

— Clance & O’Tool, 1988; Young, 2003

Ecco, siamo sul filo del melodrammatico e leggerlo fa un certo effetto, come d’altronde succede ogni volta che troviamo la definizione di un nostro comportamento (spesso distruttivo).

Dati:

La ricerca mi porta solo a percentuali USA: il 70% dei freelance in territorio americano ha dichiarato di soffrire di questa sindrome.
Per quanto riguarda l’Italia, su vari articoli si parla di “quasi la totalità degli intervistati-ognuno di noi-la maggior parte dei lavoratori”, sintomo che questo argomento è ben lontano dall’essere accettato come scientificamente degno di indagine.


Caratteristiche comportamentali:

  1. La bassa autostima (Snyder; 1972)

  2. L’introversione (Lawler; 1984)

  3. L’ansia di tratto (Topping; 1983)

  4. La propensione alla vergogna (Khout; 1984)

  5. Esperienze familiari conflittuali e di scarso supporto emotivo (Busotti; 1990).

Sul serio, quando ho trovato questa lista ho fissato lo schermo esclamando:”Eccallà” che non è proprio come dire “Bingo” ma questa GIF mi sembrava perfetta.

Le caratteristiche sono disposte in ordine cronologico in base all’anno di ricerca. Penso che la loro consequenzialità non sia del tutto casuale, con gli anni è aumentata la profondità di analisi, la consapevolezza che noi esseri umani acquisiamo, di generazione in generazione, sull’importanza delle emozioni e dell’effetto che possono avere sulle nostre relazioni.


Si chiama INTELLIGENZA EMOTIVA, vi linkerei un articolo del mio blog ma ancora non l’ho scritto, ho letto solo un libro che mi ha cambiato la vita ed è questo.

 

Come affrontare la sindrome dell’impostore?

La prima cosa che porto avanti quando ho un’idea per un articolo è fare ricerca online; di solito parto da Medium e tra i contenuti più letti ho trovato questo:

Il post, come molti altri del suo genere, racchiude una serie di consigli pratici, una narrazione del “come faccio a…10 modi per…ecc ecc”.
È naturale (lo dicono le leggi del web, le regole SEO e del clickbait) trovare una grande quantità di liste della spesa e questo articolo mi è sembrato il più completo e contraddittorio allo stesso tempo.

Mi sono limitato in questo caso a suddividere i consigli in categorie studiate per l’occasione:

CONSIGLI SACROSANTI:

  • Parlarne con uno specialista;

  • Riuscire a capire quando fermarsi per ridefinire la difficoltà in cui ci si trova;

  • Chiedersi in fondo qual è la peggior cosa che potrebbe capitare se anche un giorno non fossi all’altezza della situazione.

CONSIGLI “NI”:

  • Riuscire a separare i propri pensieri negativi dalla realtà

    (immagino che qui si intenda proprio spegnerli con un interruttore).

CONSIGLI menzione speciale (gif):

  • Il semplice fatto che ci preoccupiamo di essere degli impostori fa di noi dei NON IMPOSTORI! Altrimenti non ci preoccuperemmo affatto ma continueremmo ad operare nella menzogna.

CONSIGLI WTF!

[…] Quando hai questo genere di preoccupazioni, incominci ad avere un costante bisogno di continuare ad apprendere, crescere e migliorare le tue abilità. Diventando esattamente quel tipo di persona con cui i clienti voglio lavorare.

Non definirei pienamente positiva la reazione che ho avuto leggendo quest’ultimo suggerimento.
Confermo la prima parte:

La risposta che do ai miei momenti di sfiducia sta proprio nel percorrere quasi sistematicamente attività di ricerca e di miglioramento.

Per quanto riguarda la seconda parte:

Ammesso che questo comportamento attiri i clienti, come vivo le mie insicurezze? Ne ho chiari i confini?

Quando parliamo di miglioramento e quando di overworking?

 

Essere consapevoli

“If you feel a little insecure, you are more aware of your own weakness and therefore better equipped to change them”

Questa è una citazione presa da “The Success Hangover” di Kelsey Ramsden, trovata in questi giorni durante le mie ricerche. L’autrice racconta i due modi in cui la sindrome dell’impostore può influenzare la nostra vita:

  1. Può ostacolare l’espressione completa delle nostre capacità.

  2. Può farci uscire dalla nostra comfort zone.

Ramsden propone l’accettazione della sindrome dell’impostore come forma mentis utile a convertire una situazione di disagio in un’opportunità di crescita.

 

Tre spunti per crescere in simbiosi con le tue incertezze

1
Ti senti impostore quando stai facendo qualcosa di buono

Per la prima volta, in questa ricerca del 1970, Pauline Clance and Suzanne Imes mettono in relazione il successo con la sindrome dell’impostore.

Non mi piace il termine “successo”, è una parola che continuerei a cancellare e sostituire con sinonimi di peso differente. “Successo” sembra qualcosa basato unicamente su soldi e visibilità, lo lego allo spettacolo, l’arricchimento e più in generale ad un obiettivo che non lascia in mano nulla.

Tornando alla ricerca:

  1. Per persone capaci e dotate è frequente mettersi alla prova per ruoli e posizioni lavorative di valore. È naturale vedere emergere delle insicurezze se si accettano nuove sfide.

  2. Le persone ambiziose tendono a minimizzare/non valorizzare le proprie abilità.

“Per persone concentrate su obiettivi di valore, l’utilizzo delle abilità innate risulta semplice, quasi naturale”.

Ecco la chiave di questo primo ragionamento:

una qualità spontanea, qualunque essa sia, un comportamento istintivo è un fattore che non siamo abituati a valorizzare.

Esempio: io mi sento bravo nell’anticipare le problematiche, so muovermi con anticipo sui progetti, una visione che mi viene naturale, come chi è sempre puntuale o chi ha un piede sensibile nel giocare a pallone.

Proprio quando c’è il desiderio di fare uno step in più, di conquistare una posizione di responsabilità, questa abilità mi consente di dare qualcosa in più e apparentemente senza sforzi.

Sto fregando qualcuno? Sto prendendo una scorciatoia?

 

L’ambizione genera vulnerabilità, se succede è un buon segnale.

 

2
Dialogare nella maniera sbagliata crea impostori consapevoli e inconsapevoli.

C’è una spiegazione scientifica anche per questo.
Approfondendo l’argomento prima della stesura di questo articolo mi sono imbattuto in un vecchio amico già conosciuto in passato.

Il Dunning-Kruger Effect

Ovvero l’abilità di alcune persone di presentarsi all’interno di un dibattito progettuale come detentori di conoscienze che in realtà non padroneggiano, possiamo considerarla una sindrome dell’impostore al contrario: far credere agli altri ciò che non si è: un eccesso (voluto) di confidenza.

Gli stessi Dunning e Kruger riconoscono nella loro ricerca la sindrome dell’impostore, una figura che convive senza aver mai la forza di imporsi.

Persone dotate che non riescono ad esprirmere le proprie qualità perchè intrappolate in un pensiero di gruppo condizionato dai veri impostori. Personalità che si nascondono, che autoalimentano un processo di studio e miglioramento continuo.

 

Pensa a quante volte hai sottovalutato le tue abilità perchè condizionat* dal gruppo, ora che sai come funziona usalo come motivazione extra.

 

Se vuoi sapere di più sul Dunning-Kruger effect puoi dare un’occhiata al case study presente tra i miei progetti.

 

3
Identificare il momento esatto in cui scatta la sindrome.

La sindrome dell’impostore ci porta sistematicamente a guardare dentro noi stessi, a giudicarci.

Quando arriva una sfida siamo portati a credere che da quel momento in avanti ciò che realizzeremo rappresenterà la nostra persona. Ecco crearsi lo spiraglio dentro il quale si sviluppa la sindrome dell’impostore.

È come una crepa


Separa il lavoro dalla tua identità


FINE
Parlo sempre delle stesse cose.

In questo articolo riparto inconsapevolmente dai miei post passati: ho già parlato di Work-Life balance, della necessità di ridefinire gli equilibri, di identificare la vita come un grande contenitore e il lavoro come uno degli elementi da confezionare e inserire in questo equilibrio su cui non smettere mai di lavorare.

Continua ad essere questo la chiave di tutto?

La sindrome dell’impostore la vive ognun* di noi, abituati a spaccarci in due tra vita e lavoro incastrandoli assieme fino a creparli, occupati nel vedere lo spacco della vulnerabilità come un problema invece che colarci l’oro dentro come fanno i giapponesi.

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